Pamplona. La Festa di San Firmìn

inserito da Giulia





Pamplona val bene una Fiesta.
Se volete visitare il capoluogo della Navarra e se amate Hemingway, impossibile non partecipare almeno una volta nella vita alla Fiesta di San Firmin.
Vestiti di bianco come Jake e Brett, i personaggi principali di Fiesta, il primo grande successo editoriale dello scrittore americano, con il classico fazzoletto rosso al collo, verrete catapultati nell’euforia e nelle emozioni forti di un appuntamento che ogni anno attira 500.000 visitatori.
Per una settimana, la seconda di luglio, ogni giornata inizia con il lancio del razzo alle otto in punto di mattina, con cui si segnala la fuoriuscita dei tori nelle strade del centro.
Per pochi minuti le calli della città si riempiono di sudore, sangue e grida.
Corrono insieme ai tori, nelle strette vie del centro della città, i mozos, giovani amanti delle sfide e delle prove di coraggio, che per un anno si allenano aspettando il momento in cui concentrare tutte le energie e l’adrenalina.
Una festa a due colori, il bianco e il rosso della divisa dei San Firmines, ma che tornando a casa sembrerà di aver vissuto con tutti i colori possibili.
Perché chiunque a Pamplona, in quella settimana, anche tranquillamente protetto dalle inferriate di un balcone, vive a tinte forti quei pochi minuti in cui si disputa l’hencierro.
Sei tori i inferociti, più sei manzi addestrati per accompagnarli nel tragitto, percorrono a gran velocità circa 800 metri in poco più di tre minuti: calle Santo Domingo, Piazza Consistorial, Calle del los Mercadores, Estafeta e Telefonica per poi entrare nella Plaza de Toros.
Per sette giorni chiunque si può sentire un eroe, un torero che sfida il suo avversario con le corna senza nascondersi dietro a un telo color ciclamino ma correndo più veloce di “un avion”, come raccontano i giovani intrepidi, con il cuore in gola.
Danze, musiche, bande, cortei, fuochi d’artificio scandiscono i tempi della Fiesta affollata di giovani provenienti da tutto il mondo.
Per una settimana sugli schermi delle televisioni spagnole si ripetono con vari commenti gli otto hencierri della Fiesta , uno dopo l’altro: in diretta, in differita, al rallentatore, con il sottofondo musicale che incita i tori a “run into the line”.
Nelle tapas della Calle del Casco Vieho ogni notte si balla fino a tarda ora, e si canta la canzone della settimana , “torero vorrei cantar con tigo toda vita”, fra bottiglie di birra e cioccolata con i churros.
Nella Plaza de toros, dove termina la corsa e la sera c’è la corrida, ai botteghini c’è il tutto esaurito fin dal primo pomeriggio, e se si vuole assistere al confronto dei migliori toreri nell’arena non resta che piegarsi ai prezzi folli dei bagarini.
Perché in quei giorni si può perdere anche il senso del denaro, oltre alla percezione del tempo, dello spazio e il senso del pericolo. Si perde la percezione della realtà fra bicchieri di birra, di sangria, di vino blanco e tinto, di pinte di adrenalina e di un senso di appartenenza a qualcosa di impalpabile che ha il suo culmine ogni mattina in quei pochi minuti dell’hencierro.
E a mezzanotte del 14 luglio, l’ora ufficiale della fine della Fiesta, l’euforia lascia il posto a un vuoto enorme.
Il vuoto che come sempre si apre dopo le emozioni forti e fugaci che lasciano il segno.

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